25 agosto 2008

Planète




"Earth and the other planets in the Solar System formed 4.54 billion years ago out of the solar nebula, a disk-shaped mass of dust and gas left over from the formation of the Sun. Earth orbits the Sun."

Conventional symbol of planet Earth adopted by science:

Although this symbol corresponds to the solar cross and the zodiac cross aswell, representing our
dependance onto the Sun and its system's other planets, including their magnetic, climatic, existential influence, such as: weather, seasons, natural balances, magnetic and vegetative cycles.
Any geometry concerning these empirical and natural laws (more like "cosmic laws") were represented by mankind through symbolism. The sun cross identifies the four seasons and the four elements (fire, earth, air, water) which constitutes reality onto planet earth, and the 4-based division is referrable onto numerous subjects of the Earth, not to mention the four cardinal points, the rose of winds, the four lunar phases (etc.)


Swastika has been used aswell with almost the same meanings, adding the "becoming" attribute of reality (which is what we perceive as "time").

All major religions in history contain a form of divine solar and\or lunar worship, having the Sun symbolically referring both to our total subsistence to the star Sun itself and the ontological deity asit called "One", using myths and enigmas of esoteric content, granting metaphysical achieving to humans.

In the last centuries we've lost greater part of what was our religious heritage, including scriptures of all sort, but mostly the capacity itself of interpretating these symbols and myths. And we didn't have that much 'physical heritage' itself few centuries ago neither, since the oral-only handing down tradition lasted millennia. Unfortunately this loss was due to severe removal procedures operated by present monotheism fanatics, in larger part caused by the Roman Church all around the globe.

Time has come for free accessibility of global data, thanks to internet which is accelerating the human condivision as nothing ever did. Currently we're lonely beings collecting shattered pieces of an intricate puzzle, and we've never been so badly misguided, separated and individualized in the whole humankind history.

Symbols and religious sacraments have come to prohibition recently: just consider:
- The swastika (the nazi one replaced all of its previous meanings)
- The solar cross \ The earth symbol \ The celtic cross (used by italian totalitarism Fascism, lost almost all of its usage)
- All sacred vegetables and fungi used in greater part of all religions (tabernanthe iboga, amanita muscaria, canapa sativa, salvia divinorum, banisteriopsis caapi, trichocereus, psylocibe cubensis and many others) are now BANNED, legally prohibited and prosecuted in the "CIVIL" world (western or western-conquered, at least).
- Religion has been economically and politically corrupted and misconducted gradually, and this process has been going on for centuries. Futile to add that modern politics (leaded by UN & NATO) and the non-sustainable economic development are collapsing.

Now it is up to you, reader.

21 luglio 2008

De Entheogenica

S'intende tutt'oggi per droga, psicoattiva o non, quello che millenni fa pensavano Ippocrate e Galeno, padri della medicina scientifica: una sostanza che invece di «essere vinta» dal corpo (e assimilata come semplice alimento) è capace di «vincerlo», provocando, seppur in dosi insignificanti paragonate a quelle di altri alimenti, grandi cambiamenti organici, psichici, o di entrambi i tipi.
Le prime droghe comparvero in piante o parte di esse, come risultato di una coevoluzione tra regno botanico e animale. Alcuni terreni con erba da foraggio, per esempio, cominciarono ad assorbire silicio, provocando negli erbivori di quelle zone o l'aumento dell'avorio nei loro molari oppure la perdita dei denti dopo pochi anni di pascolo. Analogamente alcune piante svilupparono difese chimiche per contrastare la voracità animale, «inventando» droghe mortali per specie senza papille gustative o senza olfatto fine. E' probabile che alcuni esseri umani abbiano subito dei mutamenti una volta assaggiate queste erbe psicoattive; in quest'ottica sono interpretabili vari miti, comuni a tutti i continenti, in cui viene narrato il nesso tra cibarsi di questo cibo (quasi sempre definito come carne o cibo degli dei[1]) e il paradiso come reminiscenza di antiche trance.
Tuttavia durante milioni di anni per gran parte i vegetali e i frutti erano velenosi e piccoli, come la pannocchia del mais arcaico (sopravvissuta in America Centrale) o la vite silvestre. Solo con la rivoluzione del Neolitico comparve tra i cereali un grano non tossico e succulento nonchè molte leguminose commestibili ed un'ampia gamma di frutti con abbondante polpa. (..)
Le culture dei cacciatori-agricoltori, senza dubbio le più antiche del pianeta, hanno in comune una pluralità aperta o infinita di dei. Oggi sappiamo che gran parte di quelle società gli invididui hanno imparato e riaffermato la loro identità culturale facendo esperienze con qualche droga psicoattiva. Per questo motivo, queste tradizioni rappresentano un capitolo tanto fondamentale quanto dimenticato fino a poco tempo fa di quella che religioni posteriori, tipiche delle culture sedentarie, chiameranno verità rivelata. Le prime ostie o forme sacre sono state sostanze psicoattive, come il peyote o certi funghi.
D'altro canto solo il tempo segnerà il confine tra la festa, la medicina, la magia e la religione. Malattie, castighi e impurità sono in principio la stessa cosa, un pericolo che si cerca di scongiurare con dei sacrifici. Alcuni sacrificavano vittime (animali, umane) a qualche divinità per ottenerne i favori, altri mangiano in comune qualche cosa che è considerata divina. Questa seconda forma di sacrificio, l'agape o banchetto sacramentale, si relaziona quasi infallibilmente con le droghe. Così succede oggi con il peyote in Messico, con l'ayahuasca in Amazzonia, con l'iboga in Africa occidentale o con la kawa in Oceania; numerosi indizi suggeriscono che altre piante sono state usate in modo più o meno analogo in passato. Fin dalla notte dei tempi, ingerire qualcosa che veniva considerato la «carne» (o il «sangue») di certi dei poteva essere proprio una religione naturale o primitiva, frequente anche in cerimonie di iniziazione alla maturità e in altri riti di passaggio. Ma anche se c'è una grande differenza tra il sacrificio cruento e quello incruento, tra il dono di una vittima e il banchetto sacramentale, entrambi i tipi possono fondersi in riti come la messa, dove il ricordo del capro espiatorio Cristo («agnello che lava i peccati del mondo») crea un pane benedetto e un vino benedetto, corpo e sangue del sacrificato.
Si noti come la parola greca per indicare droga sia pharmakon, e che pharmakon - cambiando solo l'accento e la lettera finale - significhi proprio capro espiatorio. Lungi dall'essere una mera coincidenza, questo mostra fino a che punto la medicina, la religione e la magia siano agli albori inseparabili.
La più antica fusione di queste tre dimensioni è lo sciamanesimo, un'istituzione diffusa in tutto il pianeta, il cui senso è quello di amministrare le tecniche dell'estasi, intendendo per estasi uno stato di trance che cancella le barriere tra veglia e sonno, tra cielo e terra. Assumendo qualche droga o fornendola a qualcun'altro, o a tutta la tribù, lo sciamano tende un ponte tra l'ordinario e lo straordinario (stesso ruolo ricoperto per altro dal pontefice, pontifex), servendo per le cerimonie religiose quanto per la terapia.
E' curioso che, nella sua Metafisica (A 984b 18), Aristotele attribuisca ad Ermotimo di Clazomene, un individuo dall'evidente profilo sciamanico, l'invenzione della parola Nous, che traduciamo come «intelligenza». Le leggende su Ermotimo raccontano che spesso abbandonava il suo corpo, alcune volte per incarnarsi in diversi esseri viventi, altre per viaggiare attraverso dimensioni sotterranee o celesti.
Sorprendentemente, il livello di conoscenza sulla botanica psicoattiva dipende dal fatto che in un territorio sopravvivano forme di religione naturale, amministrate da sciamani. Questo è stato notat da un confronto tra il continente americano e quello eurasiatico: anche se il primo è molto minore in grandezza rispetto al secondo, con una minore varietà botanica, il Nuovo Mondo conosce dieci piante psicoattive per ciascuna di quelle conosciute nel Vecchio Mondo. Il dato è ancora più rilevante se si considera che in Europa ed in Asia si trovano pianti uguali o simili a quelle americane. Ma l'America, a differenza dell'Africa e dell'Eurasia, fino a pochi secoli fa era estranea ai grandi monoteismi.
L'ebbrezza era un'esperienza, a volte religiosa a volte edonista, che l'uomo del passato praticava con diverse sostanze psicoattive. l'Ahura-Mazda, libro sacro dello zoroastrismo dice «senza trance e senza canapa» in uno dei suoi versi (XIX, 20), e ci sono riferimenti a funghi psicoattivi in altri inni a divinità asiatiche e del Nord Europa. L'antica parola indoiranica per canapa (bhanga in iranico, bhang in sanscrito) si usa anche per la trance indotta da altre droghe. Con effetti completamente opposti a qualunque bevanda alcolica, gli arcaici inni del Rig Veda parlano dell'ebbrezza di come di ciò che «eleva la carrozza dei venti», e molto più tardi, nel I secolo, Filone d'Alessandria continua a relazionarla ad atti di giubilo sacramentale; nel suo trattato di agricoltura infatti afferma: "Dopo aver implorato il favore degli dei (..) raggianti ed allegri si abbandonavano alla rilassatezza e al godimento (..) Si dice che da lì viene la parola ubriacarsi, perchè era usanza già in ere precedenti concedersi all'ebbrezza dopo aver sacrificato" (De plantatione, XXXIX, 162-163).
Tuttavia, all'interno dell'ebbrezza sacramentale, è necessario distinguere tra possesso e viaggio. L'ebbrezza da possesso, provocata da droghe come l'alcool, il tabacco, la datura, la belladonna e altre analoghe, induce raptus di frenesia corporale dove scompare la coscienza fisica; accompagnati dalla musica e dalle danze violente quei raptus sono tanto piùù riparatori quanto meno somigliano alla lucidità e al ricordo. Al contrario, l'ebbrezza da viaggio è provocata da droghe che rafforzano in modo spettacolare i sensi senza cancellare la memoria; il loro uso può essere accompagnato da musica e danza, ma suscita prima di tutto un'escursione psichica cosciente, introspettiva prima e dopo.
L'ebbrezza da viaggio che, per l'appunto, è quella sciamanica, ha avuto forse l'epicentro in Asia centrale, da dove si è estesa verso l'America, il Pacifico e l'Europa. Quella da possesso regna in Africa e da quell'area forse è passata al Mediterraneo e al grande arcipelago indonesiano, dove l'amok costituisce una delle sue manifestazioni più chiare; in tempi storici invase l'America con la tratta degli schiavi e tutt'oggi, con nomi come vudù, candomblè o mandinga, gode di svariati seguaci.

Note
[1]soma, amrita, ambrosia, haoma, teonanacatl (..)



tratto da: Antonio Escohotado - Piccola storia delle droghe (Donzelli)

4 luglio 2008

Una certà libertà

"Oggigiorno, quando da ogni parte di discute appassionatamente del problema della libertà, è bene chiederci che cosa possa significare questa parola. Il XIX secolo ha tenuto in gran conto la libertà dell'individuo e ha accordato al pensiero e agli istinti individuali innumerevoli diritti. In pratica, la definizione sommaria della libertà, nel senso attribuitole dal 1800, sarebbe «la partecipazione dell'individuo al maggior numero di diritti acquisiti». Si era liberi di credere o no in Dio, perchè si era conquistato il diritto di libertà religiosa. Si era liberi di divorziare, perchè si erano conquistati certi diritti relativi al legame coniugale. Si era liberi di pensare qualunque cosa, perchè si era conquistato il diritto alla libertà di coscienza. E così di seguito. E' facile comprendere che questa libertà contrattuale riguarda pochissimo il problema della libertà in sè. Si tratta di un certo numero di diritti acquisiti poco per volta, diritti assai piacevoli, ma che non implicano affatto la libertà dell'individuo. Essere liberi significa, anzitutto, essere responsabili verso se stessi. Esseri liberi della propria vita - come dire essere impegnati da ogni atto che si compie; si deve renderne conto. Partecipare ai diritti, al contrario, non comporta alcun impegno, è una «libertà» esteriore, automatica; un permesso di libera circolazione nella vita civile e privata. Con un permesso del genere, che non impegna moralmente nè socialmente, non si rischia niente. Riflettiamo un po' su quel che significa, nella vera accezione del termine, un uomo libero, completamente libero. E' un uomo che risponde con la propria vita di ogni suo atto. Non si può essere liberi se non si è responsabili. La vera libertà non implica «diritti», perchè questi, essendoci dati dagli altri, non ci impegnano. Si è liberi quando si risponde di tutti i propri atti. Responsabilità grave, perchè si tratta della propria vita, che si può perdere (fallendo) o rendere fertile (creando). Al di fuori di questi due poli - il fallimento e la creazione - non vedo quale senso potrebbe avere la libertà. Essere liberi - lo ripeto - significa essere responsabili della propria vita. Si può lasciarsela sfuggire o crearla; diventare un automa e un fallito, oppure un uomo vivo e completo.
Le epoche che hanno ignorato questo senso della libertà hanno prodotto il maggior numero di fallimenti. Così ha fatto il XIX secolo promuovendo una libertà esteriore, irresponsabile, contrattuale. A tale riguardo, per paradossale che possa sembrare, il Medioevo ha conosciuto una maggiore libertà. Le persone che sono vissute allora erano più responsabili, più solenni; ogni atto della loro vita li impegnava; potevano perdersi o salvarsi. La paura della responsabilità costringe l'uomo moderno a rinunciare alla libertà per dei diritti. Fra tutte le «libertà» conquistate dopo la rivoluzione francese la sola cosa valida è il diritto di essere liberi. Del quale, tuttavia, non approfitta quasi nessuno. Perchè compiere atti che non possono essere sanzionati non vuol dire essere liberi."


Testo tratto da Mircea Eliade - Fragmentarium

31 maggio 2008

युग

[..] Il significato acquisito dalla «storia» nel quadro delle diverse civiltà arcaiche non ci è mai rivelato così chiaramente come nella teoria del «grande tempo», cioè dei grandi cicli cosmici, che abbiamo segnalato di passaggio nel precedente capitolo. Dobbiamo riparlarne, poiché proprio in questo caso si precisano per la prima volta due orientamenti distinti: l'uno tradizionale, presentito (senza mai essere stato formulato con chiarezza) in tutte le culture «primitive», quello del tempo ciclico che si rigenera periodi-camente ad infìnitum; l'altro, «moderno», del tempo finito, frammento (sebbene se ciclico anch'esso) tra due infiniti atemporali.
Quasi ovunque queste teorie del «grande tempo» si ritrovano in unione al mito delle età successive, poiché l'«età dell'oro» si trova sempre all'inizio del ciclo, vicino all'illud tempus paradigmatico. Nelle due dottrine - quella del tempo ciclico infinito e quella del tempo ciclico limitato - questa età dell'oro è recuperabile, in altri termini, è ripetibile per un'infinità di volte nella prima dottrina, una sola volta nell'altra. Non ricordiamo questi fatti per il loro interesse intrinseco, che è senza dubbio considerevole, ma per chiarire il significato della «storia» dal punto di vista di ciascuna dottrina. Inizieremo dalla tradizione indù, perché proprio in essa il mito della ripetizione eterna ha trovato la sua formulazione più audace. La credenza nella distruzione e nella creazione periodica dell'universo si trova già nell'Atharva Veda (10,8, 39-40). La conservazione di idee simili nella tradizione germanica (conflagrazione universale, ragnarók, seguita da una nuova creazione) conferma la struttura indo-ariana di questo mito, che può quindi essere considerato come una delle numerose varianti dell'archetipo esaminato nel capitolo precedente (le eventuali in fluenze orientali sulla mitologia germanica non distruggono necessariamente l'autenticità e il carattere autoctono del mito del ragnarók. Sarebbe d'altronde difficile spiegare perché gli indo-ariani non hanno condiviso anch'essi, dall'epoca della loro comune preistoria, la concezione del tempo con gli altri «primitivi»).
La speculazione indù, tuttavia, amplifica e orchestra i ritmi che comandano la periodicità delle creazioni e delle distruzioni cosmiche. L'unità di misura del ciclo più piccolo è lo yuga, l'«età». Uno yuga è preceduto e seguito da una «aurora» e da un «crepuscolo» che uniscono tra loro le «età». Un ciclo completo, o mahàyuga, si compone di quattro «età» di durata ineguale, con l'età più lunga all'inizio e la più corta alla fine. Così la prima «età», il krìta-yuga, dura quattromila anni, più quattrocento anni di «aurora» e altrettanti di «crepuscolo»; seguono poi tretà-yuga, di tremila anni, dvàpara-yuga di duemila anni e kàli-yuga di mille anni (più, ovviamente, le «aurore» e i «crepuscoli» corrispondenti). Quindi un mahàyuga dura dodicimila anni (Manu, 1, 69 ss.; Mahàbhàrata, 3, 12, 826). Alle diminuzioni progressive della durata di ogni nuovo yuga corrisponde, sul piano umano, una diminuzione della durata della vita, accompagnata da un rilassamento dei costumi e da un declino dell'intelligenza. Questa decadenza continua su tutti i piani - biologico, intellettuale, etico, sociale, ecc. - acquista più particolarmente rilievo nei testi puranici (cfr. per esempio Vàyu Puràna, 1,8; Vishnu Puràna, 6,3). II passaggio da uno yuga all'altro avviene, come abbiamo visto, durante un «crepuscolo» che segna un decrescendo anche all'interno di ciascuno yuga, poiché ciascuno di essi termina con un periodo di tenebre. A misura che ci si avvicina alla fine del ciclo, cioè alla fine del quarto e ultimo yuga, le «tenebre» si infittiscono. Il kali-yuga, quello nel quale ci troviamo attualmente, è considerato proprio l'«età delle tenebre». Il ciclo completo termina con una «dissoluzione», un pralaya, che si ripete in un modo più radicale (mahàpra-laya, la «grande dissoluzione») alla fine del millesimo ciclo. H. Jacobi1 ritiene a ragione che, nella dottrina originale, uno yuga equivaleva a un ciclo completo comprendente la nascita, il «logoramento» e la distruzione dell'universo. Una tale dottrina era d'altronde più vicina al mito archetipico, di struttura lunare, che abbiamo analizzato in altra sede2. La speculazione ulteriore ha soltanto ampliato e riprodotto all'infinito il ritmo primordiale «creazione-distruzione-creazione», proiettando l'unità di misura, lo yuga, in cicli sempre più vasti. I dodicimila anni di un mahàyuga sono stati considerati come «anni divini», ciascuno con la durata di trecentosessant'anni, e questo da un totale di 4.320.000 anni per un solo ciclo cosmico. Mille di questi mahàyuga costituiscono un kalpa; 14 kalpa formano un manvantàra.
Un kalpa equivale a un giorno della vita di Brahma; un altro kalpa a una notte. Cento di questi «anni» di Brahma costituiscono la sua vita. Ma questa considerevole durata della vita di Brahma non giunge però ad esaurire il tempo, poiché gli dèi non sono eterni e le creazioni e le distruzioni cosmiche si susseguono ad infinitum (d'altra parte altri sistemi di calcolo ampliano ancora, in ben più larga misura, le corrispondenti durate). Di tutta questa valanga di cifre3, è necessario ricordare soltanto il carattere ciclico del tempo cosmico. Infatti assistiamo alla ripetizione infinita del medesimo fenomeno (creazione-distruzione-ricreazione) presentito in ogni yuga («aurora» e «crepuscolo»), ma realizzato completamente da un mahàyuga. La vita di Brahma comprende così 2.560.000 di questi mahàyuga, e ognuno di essi riprende le stesse tappe {krita, treta, dvàpara, kali) e finisce con un pralaya, un ragnarók (la distruzione «definitiva», nel senso di una regressione di tutte le forme in una massa amorfa che avviene alla fine di ogni kalpa al tempo del mahàpralaya). Oltre al deprezzamento metafisico della storia - che, in proporzione e per il solo fatto della sua durata, provoca una erosione di tutte le forme, esaurendo la loro sostanza onto logica - e oltre al mito della perfezione degli inizi, che ritroviamo anche qui (mito del paradiso che viene gradualmente perduto, per il semplice fatto che si realizza, che prende forma e che dura), merita di fermare la nostra attenzione, in questa orgia di cifre, l'eterna ripetizione del ritmo fondamentale del cosmo: la sua periodica distruzione e la ricreazione. Da questo ciclo senza inizio né fine l'uomo può staccarsi solamente con un atto di libertà spirituale (poiché tutte le soluzioni soteriologiche indù si riducono alla liberazione preliminare dall'illusione cosmica e alla libertà spirituale).
Le due grandi eterodossie, il buddismo e il giainismo, accettano nelle sue grandi linee la stessa dottrina panindù del tempo ciclico e lo paragonano a una ruota con dodici raggi (questa immagine è già utilizzata nei testi vedici, cfr. Atharva Veda, 10,8,4; Rig Veda, 1,164,115, ecc). Il buddismo adotta come unità di misura dei cicli cosmici il kalpa (pàli: kappa), suddiviso in un numero variabile di «incalcolabili» (asamkheyya, pàli: asankheyya). Le fonti pàli parlano in generale di quattro asankheyya e di centomila kappa (cfr. per esempio Jàtaka, 1, p. 2); nella letteratura ma-hàyànica, il numero di «incalcolabili» varia tra 3, 7 e 33, e sono messi in relazione con il cammino del Boddhisattva nei differenti cosmi4. La progressiva decadenza dell'uomo è segnata nella tradizione buddistica da una continua diminuzione della durata della vita umana. Così, secondo Di-ghanikàya, 2,2-7, all'epoca del primo Buddha, Vipassi, che fece la sua comparsa 91 kappa or sono, la durata della vita umana era di 80.000 anni; a quella del secondo Buddha, Sikhi (31 kappa or sono) di 70.000 anni, e così via. Il settimo Buddha, Gotama, fa la sua comparsa quando la vita umana è soltanto ormai di cento anni, cioè è ridotta al suo limite estremo (ritroveremo lo stesso motivo nelle apocalissi iraniche e cristiane). Quindi, per il buddismo, come per tutta la speculazione indù, il tempo è illimitato; e il Boddhisattva s'incarnerà, per annunciare la buona novella della salvezza, per tutti gli esseri, in aeternum. L'unica possibilità di uscire dal tempo, di spezzare il cerchio di ferro delle esistenze, è l'abolizione della condizione umana e la conquista del Nirvana5. D'altra parte, tutti questi «incalcolabili» e tutti questi eoni senza numero hanno anche una funzione soteriologica; la semplice contemplazione del loro panorama terrorizza l'uomo e lo forza a convincersi che deve ricominciare miliardi di volte questa stessa esistenza evanescente e sopportare senza fine le stesse sofferenze, e questo ha per effetto di esacerbare la sua volontà di evasione, cioè di spingerlo a trascendere definitivamente la sua condizione di «esistente».
Le speculazioni indù sul tempo ciclico mostrano con una sufficiente insistenza il «rifiuto della storia». Sottolineiamo tuttavia una fondamentale differenza tra queste e le concezioni arcaiche; mentre l'uomo delle culture tradizionali rifiuta la storia per mezzo dell'abolizione periodica della creazione, rivivendo così incessantemente nell'istante atemporale degli inizi, lo spirito indù, nelle sue supreme tensioni, svilisce e respinge anche questa riattualizzazione del tempo aurorale, che non considera più come una soluzione efficace del problema della sofferenza. La differenza tra la visione vedica (quindi arcaica e «primitiva») e la visione mahàyànica del ciclo cosmico è, per usare una formula sommaria, quella stessa che distingue la posizione antropologica archetipica (tradizionale) dalla posizione esistenzialistica (storica). Il karma, legge della causalità universale, che, giustificando la condizione umana e spiegando l'esperienza storica, poteva essere generatore di consolazione per la coscienza indù prebuddistica, diventa col tempo il simbolo stesso della «schiavitù» dell'uomo. Per questo, nella misura in cui si propongono la liberazione dell'uomo, tutte le metafisiche e tutte le tecniche indù ri cercano l'annullamento del karma. Ma se le dottrine dei cicli cosmici fossero state solamente una spiegazione della teoria della causalità universale, saremmo dispensati dal ricordarle in questa sede. La concezione dei quattro yuga apporta infatti un nuovo elemento: la spiegazione (e di conseguenza la giustificazione) delle catastrofi storielle, della decadenza progressiva della biologia, della sociologia, dell'etica e della spiritualità umana. Il tempo, per il semplice fatto che è durata, aggrava continuamente la condizione cosmica e implicitamente la condizione umana. Per il semplice fatto che noi viviamo attualmente nel kali-yuga, quindi in un'«età di tenebre», che progredisce sotto il segno della disgregazione e deve finire con una catastrofe, il nostro destino è di soffrire di più degli uomini delle «età» precedenti. Ora, nel nostro momento storico, non possiamo dedicarci ad altre cose: tutt'al più (e qui si intravede la funzione soteriologica del kali-yuga e i privilegi che ci riserba una storia crepuscolare e catastrofica) possiamo svincolarci dalla servitù cosmica. La teoria indù delle quattro età è di conseguenza rinvigorente e consolante per l'uomo terrorizzato dalla storia. Infatti: 1) da una parte le sofferenze che gli vengono assegnate, poiché è contemporaneo della decomposizione crepuscolare, l'aiutano a comprendere la precarietà della sua condizione umana e facilitano così la sua liberazione; 2) d'altra parte la teoria convalida e giustifica le sofferenze di chi non sceglie di liberarsi, ma si rassegna a subire la sua esistenza, e questo per il fatto che ha coscienza della struttura drammatica e catastrofica dell'epoca nella quale gli è stato dato di vivere (o, più precisamente, di rivivere).
Ci interessa particolarmente questa seconda possibilità per l'uomo di situarsi in un'«epoca di tenebre» e di fine ciclo; infatti la si ritrova in altre culture e in altri momenti storici. Sopportare di essere contemporaneo di un'epoca di-sastrosa, prendendo coscienza del posto occupato da quest'epoca nella traiettoria discendente del ciclo cosmico, è un atteggiamento che doveva soprattutto mostrare la sua efficacia nel crepuscolo della civiltà greco-orientale. Non dobbiamo occuparci qui dei molteplici problemi che sollevano le civiltà orientali-ellenistiche. L'unico aspetto che ci interessa è la situazione che l'uomo di queste civiltà si scopre di fronte alla storia, e più precisamente di fronte alla storia che gli è contemporanea. Per questo non ci attarderemo sull'origine, la struttura e l'evoluzione dei diversi sistemi cosmologici, in cui il mito antico dei cicli cosmici viene ripreso e approfondito, né sulle loro conseguenze filosofiche. Ricorderemo questi sistemi cosmologici - dai presocratici ai neopitagorici - solamente nella misura in cui danno una risposta al seguente problema: qual è il senso della storia, cioè della totalità delle esperienze umane provocate dalle fatalità geografiche, dalle strutture sociali, dalle congiunture politiche, ecc? Notiamo fin dal principio che questo problema aveva un senso soltanto per una piccolissima minoranza nell'età delle civiltà ellenisti-co-orientali, soltanto per quelli che si trovavano svincolati dall'orizzonte della spiritualità arcaica. La stragrande maggioranza dei loro contemporanei viveva ancora, soprattutto all'inizio, sotto il regime degli archetipi; ne uscirà soltanto molto tardi (e forse mai in modo definitivo, come è il caso, per esempio, per le società agricole), durante forti tensioni storielle provocate da Alessandro e che terminano soltanto con la caduta di Roma. Ma i miti filosofici e le cosmologie più o meno scientifiche elaborate da questa minoranza, che comincia con i presocratici, conosce con il tempo un'immensa diffusione. Quella che era nel secolo V a.C. una gnosi difficilmente accessibile, diventa, quattro secoli dopo, una dottrina che consola centinaia di migliaia di uomini, come testimoniano per esempio il neopitagorismo e il neostoicismo nel mondo romano. Certamente ci interessano tutte quelle dottrine greche e greco-orientali, fondate sul mito dei cicli cosmici, per il «successo» che hanno ottenuto in seguito e non per il loro merito intrinseco.
Questo mito era ancora trasparente nelle prime speculazioni presocratiche. Anassimandro sa che tutte le cose sono nate e ritornano all'apeiron. Empedocle spiega con la supremazia alterna dei due princìpi opposti philia e neikos le eterne creazioni e distruzioni del cosmo (cicli in cui si possono distinguere quattro fasi6, un poco analoghe ai quattro «incalcolabili» della dottrina buddistica). La conflagrazione universale, l'abbiamo visto, viene accettata anche da Eraclito. Per quanto riguarda l'«eterno ritorno» - la ri presa periodica da parte di tutti gli esseri delle loro esistenze anteriori - vi è in esso uno dei rari dogmi di cui sappiamo, con una certa sicurezza, che appartenevano al pitagorismo primitivo (Dicearco, citato da Porfirio, Vita Pyth., 19). Infine, secondo recenti ricerche, mirabilmente condotte e sintetizzate da J. Bidez7, sembra sempre più probabile che almeno determinati elementi del sistema platonico siano di origine irano-babilonese. Ritorneremo su queste eventuali influenze orientali; per ora ci soffermiamo sull'interpretazione data da Piatone del mito del ritorno ciclico, più precisamente nel testo fondamentale, il Politico, 269c ss. Piatone trova la causa della regressione e delle catastrofi cosmiche in un duplice movimento dell'universo, di «...questo universo, che è il nostro... talvolta la divinità guida l'insieme della sua risoluzione circolare, talvolta l'abbandona a se stesso, una volta che le rivoluzioni hanno raggiunto in durata la misura che spetta a questo universo; esso ricomincia allora a girare nel senso opposto, di suo proprio movimento...». Il cambiamento di direzione è accompagnato da giganteschi cataclismi: «Le distruzioni più considerevoli, sia fra gli animali in generale che nel genere umano, di cui, come è giusto, non sopravvive che un piccolo numero di rappresentanti» (270c). Ma questa catastrofe è seguita da una paradossale «rigenerazione». Gli uomini si mettono a ringiovanire; «i bianchi capelli dei vegliardi ritornano neri», ecc, mentre quelli che erano in pubertà cominciano a diminuire di giorno in giorno in statura, per ritornare alle dimensioni del fanciullo appena nato, fintanto che, «continuando ormai a consumarsi, si annienteranno totalmente. I cadaveri di quelli che allora morivano «scomparivano completamente, senza lasciare tracce visibili, in un piccolo numero di giorni» (270e). Allora nacque la razza dei «figli della terra» (gegeneis), il cui ricordo è stato conservato dai nostri antenati (27la). In quest'epoca di Cronos non vi erano né animali selvatici né inimicizie tra gli animali (27le). Gli uomini di quest'epoca non avevano né mo gli né figli: «Nell'uscire dalla terra ritornavano tutti alla vita, senza aver conservato nessun ricordo delle condizioni anteriori della loro esistenza». Gli alberi davano loro frutti in abbondanza ed essi dormivano nudi sul suolo, senza aver bisogno di letti, perché allora le stagioni erano miti (272a).
Il mito del paradiso primordiale, evocato da Piatone, trasparente nelle credenze indù, è conosciuto sia dagli ebrei (per esempio, illud tempus messianico in Is. 11,6,8; 65,25) che dalle tradizioni iraniche (Dinkard, 7,9,3-5, ecc.) e greco-latine8. D'altronde esso si inquadra perfettamente nella concezione arcaica (e probabilmente universale) degli «inizi paradisiaci», che ritroviamo in tutte le valorizzazioni dell'illud tempus primordiale. Non è certo sorprendente che Piatone riproduca tali visioni tradizionali nei dialoghi dell'epoca della sua vecchiaia; l'evoluzione stessa del suo pensiero filosofico lo costringeva a riscoprire le categorie mitiche. Aveva certamente a portata di mano il ricordo dell'«età dell'oro» di Cronos nella tradizione ellenica (cfr. per esempio le quattro età descritte da Esiodo, Erga, 110 ss.). Del resto, questa constatazione non ci impedisce affatto di riconoscere, anche nel Polìtico, certe influenze babilonesi; quando, per esempio, Piatone imputa i cataclismi periodici alle rivoluzioni planetarie, spiegazione che alcune recenti ricerche9 fanno derivare dalle speculazioni astro-nomiche babilonesi, rese più tardi accessibili al mondo ellenico dalle Babiloniche di Beroso. Secondo il Timeo, le catastrofi parziali sono dovute alla deviazione planetaria (cfr. Timeo, 22d e 23e, diluvio ricordato dal sacerdote di Sais), mentre il momento della riunione di tutti i pianeti è quello del «tempo perfetto» {Timeo, 39d), cioè alla fine del «grande anno». Come nota J. Bidez10, «l'idea che sia sufficiente ai pianeti di mettersi tutti in congiunzione per provocare un capovolgimento universale è sicuramente di origine caldea». D'altra parte Piatone sembra anche conoscere la concezione iranica, secondo la quale queste catastrofi hanno per scopo la purificazione del genere umano (Timeo, 22d).
Gli stoici riprendevano per i loro fini le speculazioni sui cicli cosmici, insistendo sia sull'eterna ripetizione (per esempio, Crisippo, framm. 623-627), sia sul cataclisma, ekpyrosis, con il quale terminano i cicli cosmici (già secondo Zenone, framm. 98 e 109 von Arnim). Ispirandosi a Era-clito, o direttamente alla gnosi orientale, lo stoicismo volgarizza tutte queste idee in relazione con il «grande anno» e con il fuoco cosmico (ekpyrosis), che pone fine periodi-camente all'universo per rinnovarlo. Col tempo, i motivi dell'«eterno ritorno» e della fine del «mondo» finiscono per dominare tutta la cultura greco-romana. Il rinnovamento periodico del mondo (metacosmesis) era d'altra parte una dottrina favorita del neopitagorismo, il quale, come ha dimostrato J. Carcopino, divideva con lo stoicismo i suffragi della totalità della società romana dei secoli II e I a.C. Ma l'adesione al mito dell'«eterna ripetizione», e a quello dell'apokatastasis (il termine penetra nel mondo ellenico dopo Alessandro Magno), sono due posizioni filosofiche che lasciano intravedere un atteggiamento antistorico molto fermo, e anche una volontà di difesa contro la storia. Ci soffermeremo su ciascuno di essi.
Abbiamo osservato nel capitolo precedente che il mito dell'eterna ripetizione, come è stato reinterpretato dalla speculazione greca, ha il senso di un supremo tentativo di «statizzazione» del divenire, d'annientamento dell'irreversibilità del tempo. Poiché tutti i momenti e tutte le situazioni del cosmo si ripetono all'infinito, la loro evanescenza si rivela in ultima analisi come apparente; nella prospettiva dell'infinito, ogni momento e ogni situazione restano fermi e acquistano così il regime ontologico dell'archetipo. Quindi, fra tutte le forme di divenire, anche il divenire storico è saturo di essere. Dal punto di vista dell'eterna ripetizione, gli avvenimenti storici si trasformano in categorie e ritrovano così il regime ontologico che possedevano nell'orizzonte della spiritualità arcaica. In un certo senso si può anche dire che la teoria greca dell'eterno ritorno è l'ultima variante del mito arcaico della ripetizione di un gesto archetipico, proprio come la dottrina platonica delle idee era l'ultima versione della concezione dell'archetipo, e addirittura la più elaborata. Vale la pena di sottolineare che queste due dottrine hanno trovato la loro espressione più completa all'apogeo del pensiero filo-sofico greco.
Ma soprattutto il mito della conflagrazione universale ha ottenuto un successo notevole in tutto il mondo greco-orientale. Sembra sempre più probabile che il mito di una fine del mondo per mezzo del fuoco, da cui i buoni usciranno incolumi, sia di origine iranica (cfr. per esempio Bundahishn, 30,18), almeno sotto la forma conosciuta dai «magi occidentali» che, come ha dimostrato Cumont11, l'hanno diffuso in Occidente. Lo stoicismo, gli Oracoli sibillini (per esempio, 2,253) e la letteratura giudeo-cristiana fanno di questo mito la base stessa della loro apocalisse e della loro escatologia. Per curioso che possa sembrare, questo mito era confortante; infatti il fuoco rinnova il mondo, per mezzo suo verrà restaurato un «mondo nuovo, sottratto alla vecchiaia, alla morte, alla decomposizione e alla putredine, che vivrà eternamente, che crescerà eternamente, quando i morti risusciteranno, l'immortalità sarà data ai vivi e il mondo si rinnoverà, secondo i desideri» (Yasht, 19,14,89, trad. Darmesteter). Si tratta quindi di una apokatastasis da cui i buoni non hanno nulla da temere. La catastrofe finale porrà termine alla storia, e quindi reintegrerà l'uomo nell'eternità e nella beatitudine. Le recenti ricerche di F. Cumont e di H.S. Nyberg12 sono giunte a rischiarare un poco l'oscurità dell'escatologia iranica e a precisarne le influenze sull'apocalisse giudeo-cristiana. Come l'India (e, in un certo senso, la Grecia), l'Iran conosceva il mito delle quattro età cosmiche. Un testo maz-deo andato perduto, il Sudkarnask (il cui contenuto è stato conservato in Dìnkart, 9, 8), parlava di quattro età: d'oro, d'argento, di acciaio e di «misto di ferro». Gli stessi metalli sono ricordati all'inizio del Bahman-yasht (1,3), che descrive tuttavia poco dopo (2,14) un albero cosmico a sette bracci (d'oro, d'argento, di bronzo, di rame, di stagno, d'acciaio e di un «miscuglio di ferro»), che corrisponde alla settuplice storia mitica dei persiani13. Questa ebdomada cosmica è senza dubbio costituita in relazione con le dottrine astrologiche caldee in cui ciascun pianeta «domina» un millennio. Ma il mazdeismo aveva proposto ben prima, per l'universo, una durata di 9000 anni (3x3000) mentre lo zervanismo, come ha mostrato Nyberg14, ha portato il limite massimo della durata di questo universo a 12.000 anni. Nei due sistemi iranici - come d'altronde in tutte le dottrine dei cicli cosmici - il mondo terminerà per mezzo del fuoco e dell'acqua, per pyrosim et cataclysmum, come più tardi scriverà Firmico Materno (3,1). Che nel sistema zer-vanita il «tempo illimitato», zrvan akarana proceda e segua i 12.000 anni del «tempo limitato» creati da Ormazd; che in questo sistema «il tempo sia più potente delle due creazioni» {Bundahishn, c. l)15, cioè delle creazioni di Ormazd e di Ahriman; che di conseguenza Zrvan akarana non sia stato creato da Ormazd e non gli sia quindi subordinato - sono problemi che possiamo dispensarci dall'af-frontare in questa sede. Vogliamo soltanto sottolineare che nella concezione iranica, sia o no seguita dal tempo infinito, la storia non è eterna; essa non si ripete, ma terminerà un giorno per opera di una ekpyrosis e di un cataclisma escatologici, poiché la catastrofe finale, che porrà fine alla storia, sarà nello stesso tempo un giudizio su questa storia. Allora - in illo tempore - tutti renderanno conto di quello che avranno fatto «nella storia» e soltanto quelli che non saranno colpevoli conosceranno la beatitudine e l'eternità16.
Windisch ha mostrato l'importanza di queste idee mazdee per l'apologista cristiano Lattanzio17. Il mondo fu creato da Dio in sei giorni, e il settimo si riposò; per questo, il mondo durerà sei eoni, durante i quali «il male vincerà e trionferà» sulla terra. Durante il settimo millennio il principe dei demoni verrà incatenato e l'umanità conoscerà mille anni di riposo e di giustizia completa. Dopo ciò il demonio si libererà dalle sue catene e riprenderà la guerra contro i giusti; ma infine sarà vinto e, all'inizio dell'ottavo millennio, il mondo verrà ricreato per l'eternità. Evidentemente questa suddivisione della storia in tre atti e in otto millenni era conosciuta anche dai chiliasti cristiani18, ma non si può mettere in dubbio la sua struttura iranica, anche se una simile visione escatologica della storia è stata diffusa in tutto l'Oriente mediterraneo e nell'impero romano dalle gnosi greco-orientali.
Una serie di calamità annuncerà l'avvicinarsi della fine del mondo e la prima tra queste sarà la caduta di Roma e la distruzione dell'impero romano, previsione frequente nell'apocalisse giudeo-cristiana, ma che era conosciuta anche dagli iranici19. La sindrome apocalittica è d'altronde comune a tutte queste tradizioni. Lattanzio, proprio come il Bahman-yasht, annuncia che «l'anno verrà accorciato, il mese diminuirà, e il giorno si contrarrà»20, visione del deterioramento cosmico e umano che abbiamo ritrovato anche in India (in cui la vita umana passa da 80.000 a 100 anni) e che le dottrine astrologiche hanno resa popolare nel mondo greco-orientale. Allora le montagne crolleranno e la terra diventerà liscia, gli uomini desidereranno la morte, invidieranno i morti, e soltanto un decimo di loro sopravviverà. «È un tempo», scrive Lattanzio (Instit., 7,17, 9)21, «in cui la giustizia sarà rigettata e l'innocenza sarà odiosa, in cui i malvagi eserciteranno le loro ruberie ostili contro i buoni, in cui l'ordine, la legge e la disciplina militare non verranno più rispettati, in cui nessuno rispetterà i capelli bianchi, compirà i propri doveri di pietà, avrà compassione della donna o del fanciullo, ecc». Ma dopo questo stadio precorritore discenderà il fuoco purificatore che annienterà i malvagi e sarà seguito dal millennio di beatitudine che attendevano anche i chiliasti cristiani e che avevano già annunciato Isaia e gli Oracoli sibillini. Gli uomini conosceranno una nuova età dell'oro, che durerà sino alla fine del settimo millennio: infatti dopo quest'ultima lotta, una ekpyrosis universale riassorbirà l'intero universo nel fuoco e questo permetterà la nascita di un mondo nuovo, giusto, eterno e felice, non sottomesso agl'influssi astrali e liberato dal regno del tempo.
Anche gli ebrei limitavano la durata del mondo a sette millenni (cfr. per esempio Testamentum Abrahami, Ethica Eno-chi, ecc), ma i rabbini non incoraggiarono mai la determinazione della fine del mondo con il calcolo matematico. Si accontentarono di precisare che una serie di calamità cosmiche e storiche (carestie, siccità, guerre, ecc.) annuncerà la fine del mondo. Poi verrà il Messia: i morti risusciteranno (Is. 26,19), Dio vincerà la morte e ne seguirà il rinnovamento del mondo (Is. 65,17; anche Jubil, 1,29, parla di una nuova creazione)22.
Ritroviamo anche qui, come ovunque nelle dottrine apo-calittiche ricordate sopra, il motivo tradizionale della decadenza estrema, del trionfo del male e delle tenebre, che precedono il cambiamento di Eone e il rinnovamento del cosmo. Un testo babilonese tradotto da A. Jeremias23, prevede in questo modo l'apocalisse: «Quando queste cose avverranno nel ciclo, allora quello che è limpido diventerà opaco e quello che è pulito diventerà sporco, la confusione si estenderà sulle nazioni, non si sentiranno più preghiere, gli auspici si mostreranno sfavorevoli...». «Sotto un tale regno gli uomini si divoreranno tra loro e venderanno i loro figli per denaro, lo sposo abbandonerà la sua sposa e la sposa il suo sposo, e la madre chiuderà la porta alla propria figlia». Un altro inno annuncia che allora il sole non sorgerà più, la luna non apparirà più, ecc. Ma nella concezione babilonese questo periodo crepuscolare è sempre seguito da una nuova aurora paradisiaca. Spesso, come c'era da aspettarsi, il periodo paradisiaco si apre con l'intronizzazione di un nuovo sovrano. Assurba-nipal si considera come un rigeneratore del cosmo, poiché «dopo che gli dèi, nella loro bontà, mi hanno posto sul trono dei miei padri, Adad ha mandato la sua pioggia..., il grano è spuntato..., il raccolto è stato abbondante..., le man drie si sono moltiplicate, ecc...». Nebuchadrezzar dice di se stesso: «Io faccio in modo che vi sia un regno di abbondanza, anni di esuberanza, di prosperità nel mio paese». In un testo ittita Murshilish si esprime così sul regno di suo padre: «...Sotto di lui tutto il territorio di Khatti prosperò, durante il suo regno si moltiplicarono la gente, il bestiame, le pecore»24. La concezione è arcaica e universale; la si ritrova in Omero, in Esiodo, nell'antico Testamento, in Cina, ecc.25
Molto semplicemente si potrebbe dire che, sia per gli iria-nici che per i giudei e i cristiani, la «storia» assegnata all'universo è limitata e che la fine del mondo coincide con l'annientamento dei peccati, con la risurrezione dei morti e la vittoria dell'eternità sul tempo. Ma anche se questa dottrina diventa sempre più popolare nel secolo I a.C. e nei primi secoli d.C, non giunge a eliminare definitivamente la dottrina tradizionale della rigenerazione periodica del tempo per mezzo della ripetizione annuale della creazione. Abbiamo visto nel capitolo precedente che vestigia di questa dottrina si sono conservate presso gli iranici fino a una data avanzata del medioevo. Dominante anche nel giudaismo premessianico, questa dottrina non è quindi mai stata totalmente abolita, poiché gli ambienti rabbinici esitavano a precisare la durata fissata da Dio al cosmo, e si accontentavano di affermare che l'ìllud tempus un giorno sarebbe certamente giunto. Nel cristianesimo, d'altra parte, la tradizione evangelica lascia già intendere che BASILEIA TOU TEOU è già presente «in mezzo» (ENTOS) a quelli che credono, e che di conseguenza l'illud tempus è eternamente attuale e accessibile a chiunque, in qualsiasi momento, per metànoia. Siccome si tratta di una esperienza religiosa totalmente diversa dall'esperienza tradizionale, poiché si tratta della «fede», la rigenerazione periodica del mondo si traduce nel cristianesimo in una rigenerazione della persona umana. Ma per colui che partecipa a quell'eterno nunc del regno di Dio, la «storia» cessa in maniera totale, come per l'uomo delle culture arcaiche che l'abolisce periodicamen-te. Di conseguenza anche per il cristiano la storia può essere rigenerata da ogni credente in particolare e attraverso di lui, anche prima della seconda venuta del Salvatore, quando essa cesserà in un modo assoluto per tutta la creazione.
Un'adeguata discussione sulla rivoluzione introdotta dal cristianesimo nella dialettica dell'abolizione della storia e dell'evasione dal dominio del tempo, ci condurrebbe troppo al di là dei limiti di questo saggio. Notiamo solamente che, anche nel quadro delle tre grandi religioni iranica, giudaica e cristiana, che hanno limitato la durata del cosmo a un certo numero di millenni, e affermano che la storia cesserà definitivamente in illo tempore, sussistono tuttavia tracce dell'antica dottrina della rigenerazione periodica della storia. In altri termini, la storia può essere abolita, e di conseguenza rinnovata, un numero considerevole di volte prima della realizzazione dell'eschaton finale. L'anno liturgico cristiano è infatti fondato su di una ripetizione periodica e reale della natività, della passione, della morte e della risurrezione di Gesù, con tutto ciò che questo dramma mistico comporta per un cristiano, cioè la rigenerazione personale e cosmica attraverso la riattualizzazione in concreto della nascita, della morte e della risurrezione del Salvatore.

Tratto da Mircea Eliade - Il Mito dell'Eterno Ritorno (pp. 147 e ss.)

23 maggio 2008

Προμηθεύς

Secondo una tradizione tardiva (IV secolo), sarebbe stato Prometeo a creare gli uomini formandoli con l'argilla. Per ragioni che ignoriamo, gli dèi e gli uomini decisero di separarsi amichevolmente a Mecone (Teogonia, 535). Gli uomini offrirono il primo sacrificio, allo scopo di fissare in modo definitivo il loro rapporto con gli dèi. E fu proprio questa la prima occasione in cui intervenne Prometeo. Sacrificò un bue e lo divise in due parti; ma, poichè voleva allo stesso tempo proteggere gli uomini e ingannare Zeus, ricoprì le ossa con uno strato di grasso coprendo invece la carne e le interiora con lo stomaco dell'animale. Lasciandosi attrarre dal grasso, Zeus scelse per gli dèi la parte più povera, abbandonando agli uomini la carne e le interiora. E' per questo, precisa Esiodo, che da allora gli uomini bruciano solo le ossa in offerta degli dèi immortali (Teogonia, 556).
Questa spartizione speciosa ha avuto conseguenze considerevoli per l'umanità. Si trattava, da un lato, della promozione del regime carnivoro in quanto atto religioso esemplare, omaggio supremo agli dèi; ma ciò implicava, in ultima istanza, l'abbandono dell'alimentazione vegetariana praticata durante durante l'età dell'oro. [..] L'orfismo e il pitagorismo, insistendo sulle virtù del regime vegetariano, riconoscevano implicitamente il "peccato" commesso dagli uomini accettando la spartizione di Mecone.

Gegeneis

[..] Gli uomini infatti sono nati dalla Terra, proprio allo stesso modo in cui i primi dèi furono generati da Gaia. Il mondo e gli dèi si produssero, in sostanza, grazie ad una scissione iniziale, seguita da un processo di procreazione. E, proprio come si succedettero parecchie generazioni divine, ci furono anche cinque razze umane: la razza d'oro, d'argento e di bronzo, la stirpe degli eroi e quella del ferro (Esiodo, Opere, 109 ss.). La prima razza viveva dunque sotto il regno di Crono (Teogonia, 111) cioè prima di Zeus. Questa umanità dell'età dell'oro, esclusivamente di sesso maschile, dimorava presso gli dèi, il cuore libero da affanni, al riparo da pene e da miserie (Teogonia, 112 ss.). Non lavoravano perchè il suolo offriva loro tutto ciò di cui avevano bisogno; la loro vita scorreva in danze, feste e allegrezze di ogni tipo. Non conoscevano nè malattie nè vecchiaia e quando morivano era come se fossero vinti dal sonno (Opere, 113 ss.). Ma quest'epoca paradisiaca - che trova paralleli in numerose altre tradizioni - ebbe fine in seguito alla caduta di Crono.
Esiodo racconta poi che gli uomini della razza d'oro "furono coperti dalla terra" e che gli dèi crearono una stirpe meno nobile, gli uomini dell'età dell'argento. Per i loro peccati e anche perchè non volevano compiere sacrifici agli dèi, Zeus decise di annientarli, e produsse così la terza razza, quella del bronzo, uomini violenti e bellicosi che finirono per uccidersi fra di loro fino all'ultimo individuo. Zeus creò allora una nuova generazione, quella degli eroi, che divennero famosi per i grandiosi combattimenti di fronte a Tebe e a Troia. Molti vi trovarono la morte, e gli altri furono collocati da Zeus ai confini della Terra, nelle Isole dei Beati, dove regnava Crono (Opere, 140-169). Esiodo non parla della quinta ed ultima stirpe, quella del ferro, ma deplora di essere dovuto nascere proprio in quell'epoca (Opere, 176 ss.).
Il mito della 'perfezione delle origini' e della beatitudine primordiale, perdute in seguito ad un incidente o ad un 'peccato', è molto diffuso. La variante citata da Esiodo precisa che la decadenza si effettua progressivamente, in quattro tappe, il che ci ricorda la dottrina indiana dei quattro yuga. Ma, anche se si parla dei loro colori - bianco, rosso, giallo e nero (che corrispondono per altro alle quattro fasi alchemiche e ai quattro cavalieri dell'Apocalisse di Giovanni: albedo, rubedo, citrinitas e nigredo n.d.r) -, gli yuga non sono associati ai metalli. Troviamo invece i metalli quali segni specifici delle epoche storiche nel sogno di Nabucodonosor (Daniele, 2:32-33) e in alcuni testi iranici tardivi. Nel primo caso però si tratta di dinastie, mentre nel secondo la successione degli Imperi è proiettata nell'avvenire.
Esiodo ha dovuto inserire l'età degli eroi tra la stirpe di bronzo e quella del ferro, perchè era ancor troppo vivo, e non era quindi possibile ignorarlo, il ricordo mitizzato della favolosa epoca eroica. L'età degli eroi interrompe, in modo d'altronde inspiegabile, il processo di degradazione progressiva avviatosi con la comparsa della razza d'argento. Il destino privilegiato degli eroi, tuttavia, non riesce a mascherare un'escatologia: essi non muoiono, ma godono di un'esistenza beatifica nelle Isole dei Beati, l'Elysium, dove regna ora Crono. Questa escatologia verrà ampiamente elaborata in seguito, soprattutto sotto l'influenza dell'orfismo, e l'Elysium non sarà più privilegio esclusivo degli eroi, ma diventerà accessibile anche alle anime dei pii e agli 'iniziati'. E' questo un processo che si riscontra con molta frequenza nella storia delle religioni (Egitto, India ..). [..]

Tratto da: Mircea Eliade - Storia delle credenze e delle idee religiose - Dall'età della pietra ai misteri eleusini, Vol I, § 85 e ss.

28 marzo 2008

ambrosia society


Salterio di Eadwin (Eadwine Psalter, Cambridge, Trinity College, MS R.17.1) - 1160 d.c.

5 marzo 2008

unica mater mundi

Attraverso i millenni si reitera il culto universale della Dea-Madre, emblema della fertilità, della vegetazione, della luna e della terra, contrapponendosi congiuntamente all'Unico-Dio-Sole-Centro.
Osservandone in occidente la migrazione attraverso i culti più vasti se ne deduce la sua natura universale, tramite un sincretismo allegorico dei reperti a noi pervenuti.
Eccone un breve excursus storico.

[SUMERI] 4000 ac
nome divinità: Inanna
caratteristiche: dea della fecondità, dell'amore, della vegetazione, sorella del Sole
rappresentazione e simbologie: vergine nuda, luna.


[ACCADI\BABILONESI] 2600 ac \ 2000 ac
nome divinità: Ištar \ Ishtar
caratteristiche: dea della fecondità, dell'amore, figlia della Luna
rappresentazione: vergine nuda, rappresentata mentre allatta un infante, raffigurata con due leoni.


[FENICI] 1900 ac
nome divinità: Ashtart \ Astarte (greco) \ Aštōret (ebraico) \ As-tar-tu (accadico)
caratteristiche: grande madre fenicia e cananea, dea della fecondità
rappresentazione: vergine nuda, protetta da due leoni.

[EGIZI] 1185 ac
nome: Iside \ Isis
caratteristiche: dea della luna, della fecondità, della vegetazione, sposa celeste, vergine
rappresentazione: luna, vergine nuda, porta in braccio un infante, allatta un infante.

Alessandro Magno durante la dominazione egizia tra il 332 e il 310 a.C. portò il culto isiaco in magna grecia, ove Iside verrà rappresentanta mentre allatta Arpocrate, portandolo nel culto prima gnostico e poi cristiano della Vergine.

[ANATOLI] 700 a.C.
nome: Cibele
caratteristiche: grande madre della natura e della fertilità, è protetta da due leoni.

[ROMANI] 500 a.c.
nome: Giunone
caratteristiche: grande madre, dea della luna, della fertilità.


[ELLENI] 330 a.C.
nome: Rea
caratteristiche: madre terra, dea della fecondità e della vegetazione, protetta da due leoni.

Si mischiava nel contempo il culto di Iside tramite la compenetrazione tra la cultura egizia e quella greca attuata da Alessandro Magno. Venne prima associata alla dea Demetra, poi ad Afrodite, che i romani identificheranno a loro volta con Venere, vergine celeste personalizzata.
Degenera così lentamente nei secoli il culto della madre celeste, personificata ora nella vergine terrena.

[CRISTIANI] 100 dC
nome: Madonna \ Maria \ Maryam
caratteristiche: madre celeste, santa madre di Dio, vergine.

Il culto di Maria si lega allegoricamente al culto di Iside (Isis) in quanto entrambe rappresentate con un bambino in grembo (Horus, Cristo). Le correlazioni tra il culto cristiano propagandato da Giustiniano e Costantino indicano come fossero stati trasposti gli aspetti più topici del culto egiziano in quello cristiano. Concetti come la resurrezione, il battesimo, la nascita verginale e il figlio di Dio sono presenti nelle stesse fattezze religiose.
Nelle varie diversificazioni rituali del culto mariano si denotano simbolismi ereditati da culti precedenti, tra cui l'associazione alla simbologia lunare e vegetale (protettrice terrena), o meglio l'appellativo di Rosa Mistica in riferimento al principio indù primordiale di Prakriti (natura, manifestazione primordiale, principio femminile).



Approfondimenti:
Plutarco - Iside et Osiride
http://it.wikipedia.org/wiki/Iside
http://it.wikipedia.org/wiki/Ishtar
http://it.wikipedia.org/wiki/Innana
http://en.wikipedia.org/wiki/Inanna
http://it.wikipedia.org/wiki/Dea_Madre

10 febbraio 2008

בית לחם


Dal 1080 al 1220 circa, nella sud della Francia vengono costruite una serie di maestose cattedrali gotiche dedicate a Notre-Dame (Nostra Signora).
Una dopo l'altra, sorsero le cattedrali di Evreux, di Rouen, di Reims, di Amiens, di Bayeux, di Parigi, di Chartres.
La tecnica architettonia è innovativa e curiosamente elaborata rispetto al precedente stile romanico.
I piani di costruzione ed i progetti originali di esecuzione di queste cattedrali non furono mai trovati.
Le opere murarie erano fatte con una maestria eccezionale, quasi prodigiosa.
I contrafforti esterni esercitano una spinta sulle pareti laterali della navata, e così facendo il peso, anziché gravare verso il basso, viene spinto verso l'alto, e tutta la struttura risulta proiettata verso il cielo.
Progettate allo stesso modo, le cattedrali vennero costruite su luoghi già considerati sacri al culto della "Grande Madre", divinità primordiale presente in tutti i culti tradizionali.
Dedicate tutte e sette a Notre Dame (Vergine Maria, Signora Celeste), hanno pianta a croce latina, presentano l’abside rivolta ad est (cioè verso il sorgere del Sole) e se unite insieme formano esattamente la costellazione della Vergine sul suolo di Francia.
Tutte le cattedrali presentano rappresentazioni allegoriche e simbologiche alchemiche ed ermetiche, segno distintivo di profonda conoscenza dei Costruttori per quanto riguarda le scienze tradizionali (matematica, metafisica, geometria e astronomia).
Nella cripta di ognuna delle cattedrali è presente una "Vergine Nera" (statue o bassorilievi): notevole la corrispondenza con i templi egizi ove veniva posta una Iside (la grande madre celeste) nera nei sotterranei; simmetricamente in cima alle cattedrali veniva posta una rappresentazione
della vergine dorata.
La posizione delle cattedrali gotiche sul suolo di Francia ricalca con estrema precisione la forma della costellazione della Vergine.

La stella più prominente di questa costellazione è Spica (α Vir), che rappresenta una spiga di frumento in mano alla dea.
Ricordiamo tramite l'esegesi cristiana che Gesù nacque dalla Vergine a Betlemme (בית לחם), che significa letteralmente "casa del pane".

Evidente è perciò la correlazione tra la Vergine Celeste (Notre-Dame) e la Vergine Terrena (cattedrale), evidenziata infatti anche
tramite la corrispodnenza architettonica della Vergine posta in basso e la Vergine posta in cima delle cattedrali.




Approfondimenti:

Louis Charpentier - "Les mystères de la cathédrale de Chartres"
http://it.wikipedia.org/wiki/Gotico_francese
http://it.wikipedia.org/wiki/Cattedrale_di_Chartres
http://it.wikipedia.org/wiki/Cattedrale_di_Notre-Dame_(Amiens)
http://it.wikipedia.org/wiki/Cattedrale_di_Notre-Dame_(Reims)
http://it.wikipedia.org/wiki/Cattedrale_di_Notre-Dame_(Parigi)
http://it.wikipedia.org/wiki/Vergine_(costellazione)
http://it.wikipedia.org/wiki/Iside

23 gennaio 2008

Pistis Sophia

La fine del capitolo 139 e il capitolo 140 di questo vangelo gnostico copto descrivono minuziosamente la processione degli equinozi in chiave cosmologica e astronomica, con le tipiche denotazioni demonologiche di un trattato gnostico. Ne ho citato i passi più salienti, tralasciandone le strutture gerarchiche sovrasensibili, non necessarie per l'analisi in questione.

Pistis Sophia, 139
[..] when the sphere turneth itself and the little Sabaōth, Zeus, cometh to the first of the æons of the sphere, which is called in the world the Ram of Boubastis, that is of Aphroditē; [and] when she [Boubastis] cometh to the seventh house of the sphere, that is to the Balance, then the veils which are between those of the Right and those of the Left, draw themselves aside, and there looketh from the height out of those of the Right the great Sabaōth, the Good; and the whole world and the total sphere [become alarmed] before he hath looked forth. [..]

Zeus entra nell'eone (æon) dell'Ariete (Ram), e Aphroditē "in seventh house, that is to the Balance" (Bilancia - settima casa\segno).

Pistis Sophia, 140
[..] in the world Zeus, cometh, and he cometh to the fourth æon of the sphere, that is the Crab, and Boubastis, who is called in the world Aphroditē, cometh into the tenth æon of the sphere which is called the Goat, at that time the veils which are between those of the Left and those of the Right, draw themselves aside, and Yew looketh forth to the right; the whole world becometh alarmed and is agitated together with all the æons of the sphere. [..]

Zeus entra nell'eone (æon) del Cancro (Crab), e Aphroditē in Goat (Capricorno).

[..] And thereafter, when the sphere turneth itself, and the little Sabaōth, the Good, he of the Midst, who is called in the world Zeus, cometh, and he cometh to the eighth æon of the sphere
which is called the Scorpion, and when Boubastis, whom they call Aphroditē, cometh, and she cometh to the second æon of the sphere which is called the Bull, then the veils which are between those of the Right and those of the Left draw themselves aside and Zorokothora Melchisedec looketh out of the height; and the world and the mountains are agitated and the æons become alarmed. [..]

Zeus entra nell'eone (æon) dello Scorpione (Scorpion), e Aphroditē in Bull (Toro).

[.. ] It cometh to pass then, when the sphere turneth itself and the little Sabaōth, the Good, he of the Midst, who is called Zeus, cometh, and when he cometh to the ninth æon of the sphere which is called the Archer, and when Boubastis, who is called in the world Aphroditē, cometh, and she cometh to the third æon of the sphere which is called the Twins, then the veils which are between those of the Left and those of the Right, draw themselves aside [..]

Zeus entra nell'eone (æon) del Sagittario (Archer), e Aphroditē in Gemelli (Twins).

Nell'ultimo passaggio Gesù (colui che sta parlando) tratta dell'ultimo shift equinoziale.

And when the sphere turneth itself and the little Sabaōth, the Good, who is called in the world Zeus, cometh, and he cometh to the eleventh æon of the sphere which is called the Water-man, and when Boubastis cometh to the fifth æon of the sphere which is called the Lion, then the veils which are between those of the Left and those of the Right, draw themselves aside, and there looketh out of the height the great Iaō, the Good, he of the Midst, on the regions of Yachthanabas, so that his regions are dissolved and destroyed. And all the souls which are in his chastisements are carried off and cast back anew into the sphere, because they are ruined in his chastisements.
These then are the doings of the ways of the midst concerning which ye have questioned me."

Zeus entra nell'eone (æon) dell'Acquario (Water-man), e Aphroditē in Leone (Lion). Notare la conclusione del capitolo, evidenziata in grassetto.
Ricordiamo la simbologia dell'Acquario, dal quale le acque vengono riassorbite (il portatore d'acqua non versa l'acqua, la riassorbe).

Approfondimenti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Letteratura_gnostica
http://it.wikipedia.org/wiki/Vangeli_gnostici


11 gennaio 2008

Sol Invictus

http://it.wikipedia.org/wiki/Sol_Invictus
[cit] "Il natale trae la sua origine da Dies Natalis solis invicuts, sovrapposto alla festa pagana la festa della nascita del vero sole, Cristo. La festa del natale è d'origine romana ed è certo che a Roma, verso la metà del 4° sec., si celebrava il 25 dicembre".

Particolare di Cristo-sole (attorniato da 24 spicchi \ 24 ore diurne) di una cupola in S. Salvatore in Chora, Istanbul (3 secolo d.C). Eretta da Costantino, fondatore della religione cristiana istituzionalizzata all'impero. Costantino promulgava il culto cristiano in sintonia con il devozionalismo pagano del Sole. Nel corso dei primi secoli la Chiesa ha sovrapposto a tutte le festività pagane quelle cristiane*.


Natività
: 25 Dicembre
Tra il solstizio d’estate (21 giugno) e quello invernale (21 dicembre) i giorni diventano sempre più corti e freddi e, dalla prospettiva del nostro emisfero, ovvero quello nord, il Sole appare muoversi verso sud e diventare più piccolo e debole, e quindi il Sole sembra quasi "morire". Il 22 dicembre la “morte” del Sole si realizza completamente quando cioè raggiunge il punto più basso nel cielo. Dal punto di vista visivo, il Sole smette di muoversi verso sud per 3 giorni.
Durante questo periodo, il Sole rimane in prossimità della Croce del Sud (la costellazione di Crux), e dopo questo periodo di tre giorni, il Sole ricomincia a muoversi questa volta verso nord facendo presagire giorni più lunghi, temperature più calde e a seguire, la primavera (rinascita, pasqua).

Giorno celebrato: Domenica (Sun-day)
Non occorre ricordare che i giorni della settimana siano i pianeti (marte-dì, giove-dì..), il settimo giorno, il santo giorno cristiano, è quello dedicato al Sole.

Croce:
http://it.wikipedia.org/wiki/Croce_celtica
Approfondimento sulla croce solare celtica QUI

La croce solare rappresenta quindi la manifestazione
assiale dal centro-Uno-Sole.







Litanie Cristiane:
- Gesù, splendore del Padre;
- Gesù, Sole di giustizia;
- Gesù, vera Luce;
[..]

4 Evangelisti/Elementi:
http://it.wikipedia.org/wiki/Evangelisti
http://it.wikipedia.org/wiki/Elemento


Marco - Leone
(leone: segno fisso, estate) Fuoco
Luca - Toro
(toro: segno fisso, primavera) Terra
Giovanni - Aquila
(acquario: segno fisso, inverno) Aria
Matteo - Uomo/Angelo
(scorpione: segno fisso, autunno) Acqua

Essi sono posti in corrispondenza delle quattro direzioni 'emanate' dal centro (Cristo-sole).







Le quattro direzioni, oltre a corrispondere ai quattro elementi (teorizzati anche da Empedocle e Anassimene), corrispondono ai 4 umori del corpo umano (bile, flegma, sangue, bile nera) e alle quattro
stagioni. Anche nell' Asclepio (Prologo, 2) Ermete Trismegisto considera i quattro elementi della manifestazione come fuoco, aria, terra ed acqua. Gli stessi continenti ricalcano questa disposizione: le Americhe del fuoco (bellicose, patria di culti sanguinari e pratiche rischiose), l'Africa della terra (madre e generatrice delle specie, il continente più fecondo), l'Asia dell' aria (pervasa dia tecniche ascetiche millenarie), e l'Europa dell'acqua (coadiuvante globale, comunicatrice dell'umanità, dominatrice, etc.). I quattro elementi costituiscono anche tutti gli stati possibili della materia manifesta: liquido-solido-gassoso-trasformante. L'alchimia medievale li descrive così:
- Terra: L’azione reattiva del secco sul freddo li divide, e così opponendosi alla sua totale fissazione, la trasforma nell’elemento terra, principio concentratore e recettore;
- Acqua: L’azione refrigerante, coagulatrice e fissatrice del freddo sull’umido, lo ispessisce e l’appesantisce, trasformandolo in acqua, principio di circolazione;
- Aria: L’azione espansiva dilatante e rarefacente del caldo, agendo sull’umido, lo trasforma in aria, principio di attrazione molecolare;
- Fuoco: L’azione reattiva, ritenitrice, esaltante ed irritante del secco sul caldo, lo trasforma in fuoco, principio di dinamismo violento ed attivo.

Nell’uomo la presenza di questi elementi dà luogo a:
- Terra: inquietudine, taciturnità, riservatezza, prudenza, tenerezza contenuta od egoismo, spirito concentrato o pretenzioso, diffidente, riflessivo, ingegnoso, studioso o solitario;
- Acqua: passività, indolenza, disgusto, fiacchezza, noncuranza, sottomissione, inconsistenza, versatilità, pigrizia, incoscienza, incertezza, timidezza, timore;
- Aria: amabilità, cortesia, compiacenza, accortezza, sottilità, iniziativa, prontezza, assimilazione, ingegnosità, armonia;
- Fuoco: violenza, autorità, ambizione, entusiasmo, prosopopea, orgoglio, irascibilità, ardore, fervore, coraggio, generosità, passione, prodigalità, foga e vanità.

L' uomo fisiologico è altrettanto composto dai suddetti quattro: la Terra corrisponde al corpo fisico, l'Aria alla forza vitale, l'Acqua ai liquidi che compongono l'organismo ed il Fuoco all'energia motrice ed attiva.
Si veda la voce su Wikipedia Elemento per le restanti evidenze sincretiche.




Marco 8:15

Mentre stavano attraversando il lago, Gesù disse loro molto seriamente: "State lontani dal lievito di Erode e dei Farisei!"
I discepoli cominciarono a dire fra loro: "Dice così perché ci siamo dimenticati di portare il pane..."
Gesù s'accorse di quello che dicevano ed esclamo: "Ma no! Il pane non c'entra! Possibile che non riusciate a capire? È tanto duro il vostro cuore?
[Che cosa disse Isaia?] I vostri occhi sono fatti per vedere, perché non guardate? Perché non aprite le orecchie per ascoltare? Non ricordate più nulla?
Quando ho sfamato cinquemila persone con cinque pezzi di pane, quanti cesti di avanzi raccoglieste dopo? "Dodici" risposero i discepoli.
"E quando ho dato da mangiare a quattromila persone con sette pani, quanti cesti avanzarono? "Sette" risposero.
"E ancora non avete capito?"

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Le simbologie esoteriche usate dalla figura di Gesù vengono raramente afferrate dai suoi discepoli, eppure i riferimenti espliciti per comprendere che egli sia una manifestazione solare sono frequenti. 7 pianeti, 7 cesti, 12 mesi dell'anno=12 segni dello zodiaco, 12 apostoli. I 12 segni dello zodiaco si suddividono proprio secondo i quattro elementi manifesti.

















*24 giugno: San Giovanni Battista, 27 dicembre: San Giovanni Evangelista (i due personaggi più vicini a Cristo sono collocati in prossimità dei 2 solstizi e rimandano alla figura di Giano (Janus\Johannes)). Giano bifronte era il custode delle porte, veniva raffigurato con due chiavi in mano, ed era il patrono dei due solstizi.
31 ottobre: Ognissanti (Samhain, fine dell'estate presso i Celti, capodanno celtico.)

9 gennaio 2008

C12H16N2




















Il racconto egizio riferisce che un allievo scriba della Casa della Vita, facendo notare al suo maestro che il totale delle frazioni ottenute sommando i valori dell’Occhio di Horus si dava nell’espressione 1/2 + 1/4 + 1/8 + 1/16 + 1/32 +1/64 = 63/64 ebbe per risposta che il sessantaquattresimo mancante a completare l’unità sarebbe stato donato dal dio Thoth allo scriba che si fosse messo sotto la sua protezione.
Plutarco dice: “Negli inni sacri di Osiride viene invocato – colui che sta nascosto nelle braccia del sole – e il trenta del mese di Epifisi (27 maggio - 26 giugno, quindi al solstizio) si festeggia la nascita degli Occhi di Horus: in questo giorno, infatti, anche la luna e il sole si trovano sulla stessa retta, e per gli egiziani non solo la luna ma anche il sole sono Occhio e luce di Horus" (Iside e Osiride 52).

Si denota così l'evidente correlazione tra l'epifisi e l'occhio di Horus, che incredibilmente ricalca la forma esatta della ghiandola pineale (chiamata appunto epifisi).
Essa è considerata la ghiandola cerebrale della percezione, e in stati alterati di coscienza e in esperienze di pre-morte essa rilascia dimetiltriptamina.
Gli antichi egizi conoscevano quindi bene la funzione suprema di questo centro nevralgico della percezione ultrasensoriale.


Geometricamente, nella colonna dei sette plessi del corpo umano (detti anche chakra), la posizione dell'epifisi coincide con la posizione del sesto (Ajna chakra), chiamato anche 'terzo occhio', nonostante alcune fonti indichino che coincida in realtà con l'ipofisi.
Le porte della percezione si allargano attraverso e da questo fulcro spirituale, così venerato dagli Egizi tanto quanto dagli Indiani.

Cosa dire della molecola del DMT ? Le esperienze collegate a questa sostanza trattano di 'pura percezione oggettiva', 'pura fruizione di intuizioni metafisiche e intellettive'.
Molti culti amazzonici utilizzano a scopi rituali l'ayahuasca, un intruglio vegetale di Banisteriopsis Capii e Psychiotria Viridis, che combinate sintetizzano la molecola in questione.
Per ulteriori approfondimenti in merito a questi culti: http://en.wikipedia.org/wiki/Ayahuasca
In alcuni paesi il DMT è stato rimosso dalla lista delle sostanze stupefacenti illegali, in quanto prevista per diritto in culti religiosi mistici.
In Italia è ancora considerata sostanza illegale, per cui il possesso prevede sanzioni e pene variabili.
Questa sostanza prodotta dalla nostra ghiandola pineale, che ci permette di percepire le realtà sovrasensibili, è illegale. Non ci meraviglieremmo se a breve vedessimo l'adrenalina, la melatonina o altri ormoni banditi.

Approfondimenti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Dimetiltriptamina
http://en.wikipedia.org/wiki/Dimethyltryptamine
http://it.wikipedia.org/wiki/Udjat
http://en.wikipedia.org/wiki/Eye_of_Horus
http://www.erowid.org/chemicals/dmt/dmt.shtml
http://www.dmt-nexus.com

5 gennaio 2008

corpus dei

In questo post ci proponiamo di analizzare la cosiddetta 'manna' (carne degli dei o cibo degli dei) descritta nell'Antico Testamento.

Esodo 16:4
Allora il Signore disse a Mosè: "Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina secondo la mia legge o no. Ma il sesto giorno, quando prepareranno quello che dovranno portare a casa, sarà il doppio di ciò che raccoglieranno ogni altro giorno”.

L'intento del Signore era quindi di somministrare quotidianamante la manna al suo popolo per metterlo "alla prova", come se si trattasse di un rito religioso quotidiano.
Il sesto giorno, ossia il sabato, dovranno assumerne 'il doppio' (per questo gli ebrei santificano il sabato).

Esodo 16:14
“Poi lo strato di rugiada svanì ed ecco che sulla superficie del deserto vi era una cosa minuta e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. A tale vista i figli d'Israele si chiesero l'un l'altro: “Che cos'è questo?” perché non sapevano che cosa fosse. E Mosè disse loro: “Questo è il pane che il Signore vi ha dato per cibo”.

La manna viene trovata sulla superficie del deserto, ha grandezza limitata, ed è come "brina sulla terra", pertanto umida e fredda.

Esodo 16:16
"Ecco che cosa comanda il Signore: Raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne, un omer a testa, secondo il numero delle persone con voi. Ne prenderete ciascuno per quelli della propria tenda."

Viene qui specificata per persona la quantità di manna da assumere: un omer, unità di misura talmudica.

Esodo 16:19
“Poi Mosè disse loro: "Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino". Essi non obbedirono a Mosè e alcuni ne conservarono fino al mattino; ma vi si generarono vermi e imputridì. Mosè si irritò contro di loro. Essi dunque ne raccoglievano ogni mattina secondo quanto ciascuno mangiava; quando il sole cominciava a scaldare, si scioglieva."

Mosè ordina di consumare tutta la dose di manna prescritta dal Signore. Coloro che non obbedirono poterono osservare la manna marcire sotto i loro occhi.
Ci chiediamo quale cibo, raccolto 'tra la brina del deserto', considerato nel contempo un alimento e un test attiduinal-spirituale, possa marcire poco dopo averlo raccolto.

Esodo 16:22
"Nel sesto giorno essi raccolsero il doppio di quel pane, due omer a testa. Allora tutti i principi della comunità vennero ad informare Mosè. E disse loro: «È appunto ciò che ha detto il Signore: Domani è sabato, riposo assoluto consacrato al Signore. Ciò che avete da cuocere, cuocetelo; ciò che avete da bollire, bollitelo; quanto avanza, tenetelo in serbo fino a domani mattina."

Si evince dal testo che per processare la manna essa dovesse essere sottoposta a cottura e bollitura, preservandone la natura.
In ogni culto enteogenico che utilizzi funghi, questi vengono processati: per attivare specifici principi attivi (vedi amanita muscaria-- acido ibotenico convertito in muscimolo), evitarne la marcitura e per migliorarne il sapore.

Esodo 16:31
"La casa d'Israele la chiamò manna. Era simile al seme del coriandolo e bianca; aveva il
sapore di una focaccia con miele."

Numeri 11:6
"Ora la nostra vita inaridisce; non c'è più nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa manna. Ora la manna era simile al seme del coriandolo e aveva l'aspetto della resina odorosa. Il popolo andava attorno a raccoglierla; poi la riduceva in farina con la macina o la pestava nel mortaio, la faceva cuocere nelle pentole o ne faceva focacce; aveva il sapore di pasta all'olio. Quando di notte cadeva la rugiada sul campo, cadeva anche la manna."

Ricordiamo che nei riti gnostici ellenici che prevedono l'utilizzo dell' ambrosia (cibo degli dei), i funghi contenuti in essa venivano mischiati con il miele, che oltre a conservarli ne addolciva il gusto. La stessa procedura veniva seguita nelle culture mesoamericane nell'assunzione del teonanacatl (cibo degli dei), così come in India, nell'Indostan e nelle terre indoariane con l'amrita (cibo degli dei).